Abbiamo realizzato una lunga e profonda intervista con il grande artista americano Philip Slagter.
Qui troverete la seconda parte, incentrata sulle esperienze dell’artista e sulla sua connessione con il mond dell’arte.
La prima parte dell’intervista potete invece trovarla qui!
Ri-cominciamo:
The PhotoPhore: Hai avuto un percorso artistico molto particolare, sia in termini di formazione artistica, che di luoghi del mondo visitati e culture conosciute.
Questo probabilmente è uno dei motivi per cui nelle tue opere ci sono citazioni di tutti i tipi, dall’arte sacra medievale/rinascimentale [come il meraviglioso San Sebastiano di “Molecular Martyrdom“, o il “Il corpo di Cristo morto nella tomba” di Hans Holbein il Giovane, chiaramente citato in “Supernatural Magic, Carry On“], ai cartoons, a flora e fauna.
Come convivono tutte queste influenze nella tua arte?
Philip Slagter: Come ogni artista, sono un prodotto delle mie esperienze e immaginazione, sia consapevoli che inconsapevoli.
A New York, a vent’anni, sono stato attratto ed ho visitato grandi musei, ho visto arte e culture oltre la mia immaginazione. Questa era questa realtà. Sono stato anche introdotto in altre realtà potenziali attraverso la letteratura e l’uso raro di sostanze psichedeliche.
Le mie esperienze con l’LSD mi hanno fatto conoscere altre forme di realtà percepita e quindi imparavo a conservare quelle esperienze, a imparare da loro e a ripeterle quando necessario senza l’uso di droghe.
Al giorno d’oggi internet potrebbe facilmente sostituire l’esperienza con LSD negli anni ’60. Apriamo un portale e quindi l’immaginario, percepito come reale, inonda la nostra coscienza e ci porta via dal nostro vero sé.
La quantità di informazioni che riesco a recepire in qualche ora di internet supera di mesi, anche di anni quella che potevo comprendere nei miei anni giorvanili. Allora c’erano solo biblioteche, librerie, musei. Adesso puoi essere connesso anche mentre dormi.
Sono affascinato dalle somiglianze che ci sono in tutte le culture dal passato al presente, sia come immagini che come “credenze” percepite. Ecco perché c’è questa complessità di immagini nel mio lavoro. Voglio vedere come queste sembrano interagire perfettamente.
Sono affascinato dall’intera storia dell’arte conosciuta, a partire dal “primo segno“ lasciato dall’uomo, questione che è sempre in continua evoluzione, fino agli uomini che vivono adesso su questo pianeta e che fanno arte in questo momento. Esprimendosi.
Vedere digitalmente un’opera d’arte non ha assolutamente nulla a che fare con lo sperimentarlo di persona. Così come avere un “amico” sui social media non può sostituire l’esperienza di un amico di persona. Quindi i grandi dipinti e le altre immagini a cui faccio spesso riferimento nel mio lavoro sono solo degli zero e uno e con i quali ho un’interazione personale.
Siamo in una “apocalisse dell’informazione” che costruisce una nuova “realtà“ globale. Suppongo sia per questo che “queste immagini coesistono“ nella mia arte.
I miei viaggi sono sempre stati solo per provare a me stesso che parte di ciò che percepiamo come realtà è esattamente questo. L’interazione con persone di altre culture mi ha dimostrato che siamo tutti uguali, pur avendo come barriere differenze massicce, differenze culturali apprese.
T.P.P.: Credi comunque che nei tuoi lavori, nella tua arte, ci sia una “linea guida” particolare, un “messaggio” che vuoi trasmettere in maniera più o meno precisa?
O sono tutti “mondi paralleli” abitati da creature strane e che di volta in volta si “incontrano” nelle tue opere?
P.S.: Non ci sono mondi paralleli nella mia arte. Ciò li renderebbe un’illustrazione di qualcosa che immagino sia vera. Non immagino che nulla sia vero. Sono ancora nel mio viaggio di scoperta della verità.
La pittura è semplicemente un modo per registrare i miei risultati. Fare arte è un processo affascinante. Un’idea/sentimento si crea e poi in un “momento” sucessivo appare un oggetto. Una cosa di tipo alchemico, non credi?
Ho visto l’umanità per settantadue anni. È affascinante. Settantadue anni di esperienza personale non sono nulla in confronto alla saturazione delle esperienze con cui oggi siamo bombardati attraverso i media ogni momento della giornata. Pompe di benzina che ti parlano quando riempi la tua auto. Il tuo telefono ti ricorda qualcosa che hai dimenticato. Il bisogno costante di “compagnia” attraverso una realtà prefabbricata in streaming.
Spero che la mia arte dia a qualcuno l’opportunità di disconnettersi da quel mondo percepito e condizionato.
Alcune persone usano la meditazione, altre eroina e altre ancora l’arte, per quella fuga momentanea. E alcuni usano tutto. Esattamente la ragione per cui molti pittori dipingono. E in quei momenti si intravedono altre possibili realtà percepite dall’artista e disponibili per noi. E condividiamo quel momento. E così lo inseriamo nelle nostre vite.
È un’idea primitiva, la stessa di quando un “ragazzo” in una tribù deve passare attraverso un rituale per diventare un “uomo”.
Nel New Mexico ho passato un bel po’ di tempo a vagare nel deserto e ad osservare gli incredibili pittogrammi che sono ovunque. Un giovane “ragazzo” viene inviato da solo nel suo primo viaggio. Gli viene detto di camminare attraverso la valle fino alle montagne in lontananza, trovare una caverna, entrare e non uscire finché non capisce perché è lì. Mentre i suoi occhi si adattano al buio, i disegni all’interno della caverna diventano visibili per lui. Questi sono i suoi dei.
È il momento di uscire dal se stesso bambino e di risvegliarsi con un potenziale più grande. Non dissimile dalle sempre più popolari esperienze allucinogene di oggi. La differenza è che alle domande del ragazzo nella caverna è stata data una risposta.
Mi sono avvicinato a questo in un dipinto negli anni ’80. Si chiamava Rights of Passage [Diritti di passaggio], un grande dipinto, dodici per tredici piedi, oltre tre metri e mezzo per quasi quattro metri. La dimensione era importante perché volevo che lo spettatore diventasse parte dello stesso spazio dimensionale del quadro.
Le immagini sono archetipiche per me e la stratificazione è tipica della nostra stratificazione quotidiana. Quindi le mie speranze erano di dare allo spettatore l’opportunità di fermare il dialogo interno, uscire da se stessi e diventare parte di qualcos’altro e quindi ricordare quell’esperienza.
Quindi il messaggio sarebbe: Sii te stesso. Scopri chi sei veramente e tutto il tuo potenziale. I miei dipinti sono solo punti di riferimento visivi.
T.P.P.: Di solito, ed è ovvio, tutti gli artisti amano le loro opere come fossero loro figli. Ad ogni modo, c’è un’opera (realizzata da te) che preferisci, e perché?
P.S.: Ho conosciuto artisti del genere. Il loro lavoro è chiuso in un cassetto. Non lo possono lasciar uscire. Non penso che capiscano il valore dei loro “bambini”.
Credo che dovrei dire che l’unica mia opera che preferisco è quella su cui sto lavorando in un dato momento. I miei pensieri andranno alla prossima opera ancor prima che io abbia finito.
Non sento alcun legame emotivo con il mio lavoro. Mi riservo legami emotivi con altre creature viventi.
Quando finisco un dipinto, ho finito. Non rimango attaccato ad esso. Immagina di farlo alla mia età o a qualsiasi età. Avrei mille rimpianti.
T.P.P.: Veniamo al mondo dell’arte che ci circonda: Hai un artista che preferisci e un’opera d’arte che preferisci (non realizzata da te)? Perché?
P.S.: Non ho nessun artista preferito, ma il primo che mi viene in mente è Rose Wylie. Mi piace tutta la sua arte. Sembra essere un’artista che ha chiuso il cerchio. Ha ancora la capacità di dipingere come un bambino e usa tutte le informazioni raccolte nei suoi ottanta anni e più.
È come quel vecchio detto: “Vorrei poter tornare a quando ero un bambino e sapere quello che so ora“. Sembra che Rose abbia scoperto come fare.
Non ho un’opera d’arte che preferisco. Ma ho un titolo preferito per un quadro: Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? di Paul Gauguin. L’essere razionale, il mistero e l’assoluta ignoranza nelle tre parti del titolo.
Forse non ci riusciremo mai?
T.P.P.: Suggeriscici un artista da scoprire su the PhotoPhore.
P.S.: Eddy Millan. Ho conosciuto Eddy nel 2000, era un cassiere di un porno shop dove sono andato ad affittare un film.
Avevo appena finito di lavorare ad un murales ed ero ricoperto di pittura. Mi ha chiesto se dipingessi. Disse che gli piaceva disegnare. Gli ho chiesto di farmi vedere i suoi disegni quando avrei riportato il film il giorno successivo. Aveva un taccuino di disegni.
C’era un bellissimo senso della linea e del pensiero. Gli chiesi se voleva lasciare il porno shop. Sì. Abbiamo lavorato assieme ad alcuni murales e altri progetti per i successivi 13 anni. Dice che gli ho insegnato a dipingere. Forse gli ho insegnato un po’ di tecnica ma non gli ho insegnato a pensare, quello lo sta facendo da solo.
Eddy ha avuto solo di recente il desiderio di mostrare il suo lavoro per quanto io l’abbia incoraggiato per anni. Credo che senta che finalmente ha qualcosa da dire. I suoi lavori rientrano facilmente nel movimento del Pop Surrealism ma con un punto di vista molto individuale.
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Eccoci alla fine. Ricordate di leggere anche la prima parte dell’intervista, cliccando qui, e di scoprire le opere di Phili Slagter sul suo sito, seguendo il link qui sotto!
Testo di Domenico Fallacara | the PhotoPhore e Philip Slagter
Discover: www.one-eyedprophet.com