L’arte della provocazione, la fotografia del corpo e delle azioni: gli anni Sessanta e Settanta in mostra a CAMERA, Torino
Anni incandescenti, giorni che assumevano sapore di modernità, piazze che si liberavano di gioghi secolari. Un periodo storico, quello degli anni Sessanta e Settanta, in cui l’Italia sembrava essere diventata un vero e proprio laboratorio aperto a sperimentazioni estreme, a esperienze concettuali e carnali fino a quel momento impensabili. Così CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia (Torino) continua la sua mission di valorizzazione della fotografia del Novecento, ospitando due percorsi espositivi paralleli: “La rivoluzione siamo noi. Arte in Italia 1967-1977” e “Ketty La Rocca. Se io fotovivo. Opere 1967-1975”, in mostra dal 14 luglio al 2 ottobre 2022.
La prima rassegna presenta 150 immagini provenienti da diversi archivi di fotografi, è curata da Ludovico Pratesi e organizzata da Archivio Luce Cinecittà in collaborazione con CAMERA. La personale dedicata a Ketty La Rocca è a cura di Raffaella Perna e Monica Poggi, realizzata grazie alla collaborazione con l’Archivio Ketty La Rocca e con il contributo della Galleria Frittelli di Firenze.
L’esposizione “La rivoluzione siamo noi” è un viaggio in tre città italiane protagoniste dei cambiamenti sociali e politici degli anni Sessanta e Settanta: Torino, Roma e Napoli. Qui ritroviamo un impeto di ribellione, un’istintività naturale che finalmente aveva trovato voce fuori dagli spazi istituzionali, un atteso scioglimento di catene che aveva condotto l’arte nelle piazze e nelle strade delle città, spogliando numerose gallerie dal loro valore sacro e frantumando quel processo di cristallizzazione che rendeva ogni opera artistica eterna. “Non guardo solamente l’opera, osservo l’artista. O meglio, guardo come l’artista guarda l’opera. Erano opere non vendibili, non sarebbero state più realizzate e l’immagine fotografica diventava fondamentale”, così il fotografo Claudio Abate aveva spiegato l’importanza dell’immagine, dello scatto fotografico che contribuisce, e in alcuni casi determina, la conservazione della memoria e della storia.
In mostra, un dialogo tra Claudio Abate e Bruno Manconi, tra Fabio Donato e Mimmo Jodice, tra Paolo Mussat Sartor e Paolo Pellion di Persano. Sei fotografi che hanno seguito costantemente i cambiamenti dell’epoca, pronti a fissare un’immagine di tutto ciò che accadeva nelle sale della Biennale di Venezia, di Documenta a Kassel, nel parcheggio sotterraneo di Villa Borghese con la rassegna “Contemporanea” e nella storica mostra “Arte povera più azioni povere” agli arsenali di Amalfi nel 1968. Dodici cavalli vivi di Kounellis liberi di defecare e urinare nella galleria L’Attico di Fabio Sargentini; Gino De Dominicis e il suo tentativo di far formare dei quadrati invece che dei cerchi intorno a un sasso che cade nell’acqua alla Quadriennale di Roma; il famigerato incontro tra Andy Warhol e Joseph Beuys alla galleria di Lucio Amelio; l’abbandono di uno spazio pratico per uno spazio teorico di Mario Merz; Anne Marie Boetti e Ableo che improvvisano un concerto di flauto a piedi nudi sulla spiaggia; i bambini che giocano a nascondino sotto La vedova blu di Pascali. Sei fotografi attratti dalla spontanea energia che guidava le consapevolezze degli artisti di quegli anni, che tessevano le proprie idee, le proprie convinzioni tra le case di un Paese immerso nel cambiamento. Tutto era azione, provocazione e gesto.
Nella mostra personale su Ketty La Rocca si indaga il rapporto tra fotografia e parola, tra gesto e linguaggio: due mani che prima si congiungono in preghiera, poi si stringono e infine formano una sorta di girotondo. Così Ketty, dopo aver esordito nel Gruppo 70 nell’ambito della Poesia visiva fiorentina, aveva deciso di dare una svolta radicale al suo percorso artistico pubblicando nel 1971 il libro fotografico In principio erat, presentato alla Biennale di Venezia nel 1972. Sequenze fotografiche in bianco e in nero in cui l’artista aveva indagato la relazione tra fotografia, corpo e linguaggio verbale.
Tra i lavori esposti, realizzati dal 1967 al 1975, emergono le tematiche legate al ruolo della donna nella comunicazione di massa, una forte critica al capitalismo e all’influenza che la Chiesa esercitava all’interno della società moderna. Oltre cinquanta opere con le espressioni facciali legate ai suoi studi sulla fisiognomica, immagini delle sue performance spesso tratte dagli archivi Alinari, lavori realizzati con la macchina Xerox, e per concludere le serie delle Craniologie e delle Riduzioni. Cartelli stradali dell’Autostrada del Sole con scritte incongrue; l’artista sotto le lenzuola con a fianco una scultura in pvc a forma di “J” rappresentante il suo rapporto ossessivo con l’altro, con quello “you” che si ripeteva spesso nei suoi lavori; le riduzioni di immagini note a forme primarie riportandole sotto il dominio soggettivo grazie all’uso della calligrafia. Ketty La Rocca aveva raccontato a proposito di questi lavori: “Il David, per esempio, non esiste più, quello vero è quello delle cartoline […], e se io voglio un David tutto per me posso solo rifarmelo, ricostruirlo per i miei ricordi, su misura del mio modo di essere, di vivere, di sentire”.
Gli anni Sessanta e Settanta, in Italia, erano anni di ricerca, di dibattiti, di erotismo e di alienazione. Erano anni in cui gli uomini erano affamati, in cui l’arte era impegnata con la contingenza, con l’astorico e con l’uomo reale.
Rocco Belosi – Contributor
La rivoluzione siamo noi. Arte in Italia 1967-1977
Ketty La Rocca. Se io fotovivo. Opere 1967-1975
14.07.2022 – 02.10.2022
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